La Mia Maratona di New York

Eleonora Zoccoletti Lifestyle
La Mia Maratona di New York

Il 6 novembre 2016 ho corso la mia prima maratona a New York a 42 anni. Ci ho messo 5 ore e 6 minuti.
Il mio primo obiettivo era metterci meno di 5 ore, il secondo obiettivo era sicuramente finirla.
La maratona per me è stata una sorta di rivincita.

Perché ho deciso di correre la maratona.

Fin da piccola ho sempre corso. Non molto al dire il vero,  al massimo 6 km e con obiettivi quali dimagrire, fare movimento, senza, quindi, un vero scopo. Non sono nemmeno mai stata costante. Cominciavo per dimostrare qualcosa a me stessa e poi finivo per non averne voglia e preferire di fare altro. Dopo un po' ricominciavo e dopo qualche mese smettevo.

A fine 2015 mi sono iscritta a un master di coaching dove la maratona era una prova d’esame. Preferibilmente, ma non per forza, si doveva partecipare a quella di New York perché considerata La Maratona tra le maratone, una delle World Marathon Majors ,  una delle più difficili da fare per via delle continue salite con un percorso particolarmente tortuoso. La maratona di New York non si fa mai per superare i propri tempi, perché è quasi impossibile. 

Dovendo appunto superarla per potermi certificare è diventato uno dei miei più importanti obiettivi del 2016.
Avevo poco meno di un anno per prepararmi.
Quindi dovevo muovermi fin da subito.

Allenamenti e infortuni

La scuola ci aveva fornito tabelle di marcia, consigli utili all'allenamento, un gruppo Facebook dove chiedere informazioni e consigli, dove confrontarsi e condividere momenti di difficoltà o di risultati.
Avevamo un trainer d’eccezione, Orlando Pizzolato, due volte vincitore della maratona di New York, che ci supportava nelle tante domande che facevamo e che è stato presente in alcuni allenamenti a Gran Canaria e con noi alla nostra maratona di NY per sostenerci e spiegarci nuovamente come correrla.

Negli anni ho praticato diversi tipi di sport: danza classica, nuoto, tennis, ma la corsa non l’avevo mai presa seriamente e mai avrei creduto che ci fosse un mondo da sapere e da capire dietro a un semplice (apparentemente) correre.

La cosa che più ho imparato da questa esperienza che grazie alla corsa, agli allenamenti, vai talmente tanto dentro di te che nemmeno pensi di poterti conoscerti così a fondo.

Il respiro, le braccia, le gambe, i piedi, il sudore, la fatica che provi, la testa che ti dice basta, fermati. Sono tutti pezzi di te ed emozioni che provi che devi imparare a conoscere, riconoscere e gestire

Alzarsi alle 5 del mattino in pieno inverno con la temperatura sottozero e correre forte per non ghiacciarsi.
Allenarsi duramente per settimane e non vedere i risultati sperati: non riuscire a correre veloce e a superare i 10 km per mesi interi.
Correre a piedi nudi con il rischio di farsi male sui sassi in spiaggia a Gran Canaria.
Fare i primi 18 km li davanti all'oceano senza mai averne corso prima più di 10.
Infortunarsi una caviglia e stare ferma più di un mese, perdendo, perciò, tutto l’allenamento  dei mesi precedenti. (Se ti fermi per troppo tempo devi ricominciare da zero).
Imparare  a conoscere il proprio corpo, riconoscere i dolori veri da quelli passeggeri, imparare a massaggiarsi e affrontare nuove sfide.
Avere suggerimenti da ogni persona che incontri perché mangiando vegano le proteine ingerite non bastano a fare la muscolatura.
Infortunarsi nuovamente le ginocchia a tre mesi dalla maratona. Un infortunio grave che ho dovuto sistemare (e non del tutto) con due mesi di fisioterapia.
Non poter più correre per più di 10 km per via delle ginocchia ed essere disperata perché convinta di non farcela con il fisioterapista contro, che continuava a dirmi  che con le ginocchia ridotte così non avrei potuto correre, mi sarei rovinata, sarei senz'altro peggiorata.

Sembrava veramente avere tutti contro: le persone, gli eventi, i consigli che non funzionavano. 

Ovviamente, non mi sono lasciata abbattere e convincere e ho fatto due cose:

  1. ho buttato via tutti gli schemi di allenamento e di alimentazione che mi erano stati dati e  ho cominciato ad ascoltare le esigenze del mio corpo. Avrei corso tutti i santi giorni fino a che ce la facevo e poi avrei fatto tanto stretching o bicicletta per aiutare le ginocchia. Avrei mangiato a modo mio senza proteine chimiche e senza obbligarmi a cibi a cui ero (e sono) contraria. 
  2. Ho chiesto a una persona speciale, di cui sono immensamente grata, di allenarmi.

Queste due scelte hanno fatto davvero la differenza.

Con Ivano abbiamo scelto la via della resistenza: non potendo correre più di 10 km, avrei allenato respirazione e cuore.  Ho fatto un mese e mezzo con lui di allenamento correndo al massimo 7 km, 7 km di ripetute.

“Se hai cuore forte e sai controllare la respirazione alla maratona ti concentrerai solo su questo e andrai avanti fino a finirla”, mi diceva.

E quando non mi allenavo con lui,  lo facevo da sola: correvo, camminavo, correvo, mi fermavo. Se non avevo male continuavo, se avevo dolori mi fermavo.
Facevo esattamente ciò che il mio corpo chiedeva. Il mio corpo sapeva qual era il mio obiettivo ed ero talmente convinta che l’avrei raggiunto che sapevo che il mio corpo mi avrebbe supportato.


Le persone che mi volevano bene

Tralasciando per un momento il fatto che le persone a me care, pensavano io fossi pazza e mi fossi fissata su una cosa talmente impossibile per me, sappiate che ho passato quasi un anno sentendomi dire:

non ce la puoi fare
non hai un corpo che può reggere una maratona
non puoi fare i muscoli perché mangi vegano
se ti sei infortunata significa che non sei fatta per correre
non sai correre
sei ridicola
dove vuoi andare
sei pazza a svegliarti alle 5 del mattino per correre
invece di correre non puoi fare altro?
ecc..ecc

Non ho mai dato la colpa a nessuno delle persone che mi stavano intorno, loro volevo semplice proteggermi, farmi desistere e probabilmente pensavano davvero che io non potessi farcela.
Pensa, però, per un momento come potevo sentirmi continuamente tartassata così. Si sa che quel che viene detto entra profondamente nell'inconscio.

La mia battaglia è stata ancora più dura proprio perché non avevo sostenitori, un qualcuno che mi dicesse: ce la farai. Credo in te. 

Il mio dialogo interiore. 

Non ero veloce, non riuscivo a superare i km della tabella di marcia, vedevo i progressi degli altri e io che ero sempre ferma lì. Gli infortuni, le persone che cercavano di fermarmi in questa cosa che secondo il loro pensiero era troppo pazza, una follia.

Il mio dialogo interiore, ti assicuro, non era dei migliori.
Mi stavo convincendo anch'io che non avrei potuto farcela.
Non ho voluto mollare e ho preso, quindi, un’altra decisione: non avrei allenato solo il mio corpo.
Avrei allenato anche la mia mente. Come? Con le visualizzazioni.

Vivevo con la mente le mie corse: mi immaginavo mentre correvo e arrivavo a traguardo. Ho vissuto e rivissuto con l’immaginazione molte molte volte le difficoltà che potevo incontrare e tramite la visualizzazione le vivevo e le superavo.
Mi sono guardata tante volte tutto il percorso da fare per viverlo nella mia mente. Ho trovato degli escamotage per correre con molte più gambe: avevo diviso il percorso in 4 e ogni 10 km fingevo di avere le gambe di uno dei grandi maratoneti della storia.
Quando correvo i miei pochi km li dividevo mentalmente e fingevo che ogni km fossero già 5 o 10 km e alla fine saltavo ed esultavo per strada dicendo a me stessa: ce l’ho fatta! ce l’ho fatta!
Penserai,  forse, che sono stata una pazza, sicuramente le persone per strada lo hanno pensato. :). 

Pazza o no, io ho raggiunto il mio traguardo e  senza tutto questo vivere dentro all'esperienza e a me stessa non ci sarei, probabilmente, mai riuscita. 

La mia maratona

A New York sono arrivata qualche giorno prima della maratona. L’atmosfera era speciale: un’intera città che si preparava all'evento. I giorni prima un po' di corsetta a Central Park e poi riposo e cura per se stessi: non camminare troppo, bere tanto, cercare di non farsi male, mangiare carboidrati.

La sera prima mi sono fatta fare un bel massaggio rilassante da un’amica e il mattino ci siamo svegliate all'alba. C’è tutta una prassi da rispettare: fare una colazione molto abbondante, andare al bagno, prendere l’autobus,  il traghetto per raggiungere Staten Island, un altro autobus...e…poi il bello dell’avventura. 

Siamo arrivate che era già quasi l’ora della partenza alle nostre griglie.  Il tempo di spogliarci dai tanti indumenti che avevamo addosso (consigliabile avere vestiti vecchi addosso per due motivi: fa molto freddo in novembre e devi essere ben coperto, vecchi perché li abbandoni e vengono regalati alle persone povere), fare pipì e via alla griglia.

Suona il fischio di partenza e ...si parte...per attraversare il Ponte di Verazzano.

Adrenalina incredibile, il rumore di migliaia di scarpe che toccano l’asfalto, i grattacieli tutti intorno. Una simile emozione io non l’avevo mai vissuta. Dopo tutte le difficoltà ero li la stavo davvero correndo.  La mia maratona di New York.

I primi 25 km non li ho nemmeno sentiti: ero talmente immersa nella città e intenta a guardare la gente che ci supportava che non ho prestato attenzione al mio corpo. 

Brooklyn è un piccolo mondo, rifugio di giovani artisti, millennial e creativi.

Il Queens, famoso anche per le sue case di mattoni rossi. I grattacieli si vedono da lontano.

Poi il Queensboro Bridge al 28 km circa. Un ponte difficile, dove sei tu e chi corre con te, dentro questo ponte coperto. Non c’è più la folla e li cominci ad ascoltarti. Senti il tuo respiro e quello di chi corre con te. Silenzio e solo i colpi delle scarpe che toccano l’asfalto e respiri affannati.

Da qui si raggiunge l'isola di Manhattan e comincia un lungo rettilineo di 5-6 km per arrivare fino al Bronx e superare l'ultimo ponte, il Madison Bridge

Ed è al 30° km che io comincio a sentirmi male.

In tanti ci avevano avvertito che intorno al trentesimo km la mente avrebbe giocato brutti scherzi, pensieri limitanti, desiderio di fermarsi e di abbandonare la gara,

Nella realtà si tratta di una crisi metabolica: le scorte di glicogeno sono terminate ed è quindi praticamente impossibile procedere perché anche i grassi non possono essere utilizzati .

Nel mio caso non si è trattato di questo: avevo dei dolori fortissimi all’addome e non capivo cosa mi stesse succedendo. Nausea, sensazioni di vertigini, dolori...non sapevo che fare. Dico ad Antonella di andare avanti e di non aspettarmi.  Abbiamo corso più di 30 km insieme, non volevo non facesse il suo tempo a causa mia. 

Rimanendo da sola ho cominciato a respirare a fondo, ad ascoltarmi, ad isolarmi dal fracasso esterno, a concentrarmi sui dolori, a scacciarli via con la mente come avevo imparato a fare.

Stavo male, molto male. Potevo fermarmi e abbandonare. Sarei stata giustificata. Ma mi è salito un nodo alla gola: ero lì e avevo solo quella maratona per dimostrare a me stessa per prima e a tutte le persone che non avevano creduto in me e nella mia possibilità di riuscire in tutto ciò che volevo. Mi sono detta: se voglio posso. Se voglio faccio e raggiungo il mio traguardo.

Il mio obiettivo non era più  fare il tempo inferiore alle 5 ore, era arrivare a traguardo, finire la maratona.

Ho continuato così cercando di stare dentro di me concentrata sulla respirazione per 6 km...poi ho cominciato a stare meglio, avevo un male incredibile ad un piede, ma la nausea era sparita e c’ero.

Harlem, Fifth Avenue, ingresso in Central Park: gente che si ritirava, si stendeva per terra, vomitava. Dottori e infermieri che correvano a destra e a manca per aiutare le persone che stavano male.
E’  stata veramente dura, denti stretti, concentrata e forza interiore (forza fisica non ce n’era proprio più) e pensando che ero vicino al mio obiettivo. 

Sono arrivata al mio traguardo pian piano, sforando il tempo prefissato di 6 minuti.

Mi hanno consegnato la medaglia, un poncho per scaldarmi e una sacca piena di cose da bere e da mangiare. 

Ho percorso in un silenzio interiore come una zombie mezza New York a piedi, con un malessere incredibile addosso. Zoppicando, con tanto freddo e la nausea che era tornata e mi attanagliava.

Non trovavo Antonella, né gli altri compagni. Pensavo pensavo pensavo. 

Una volta arrivata in hotel ero ancora intontita, ho scoperto il perché del mio malessere (erano arrivate le mestruazioni durante la corsa) e ho ricevuto la telefonata del mio coach che mi urlava nell’orecchio: sei una grande, ce l’hai fatta, ce l’hai fatta, ce l’hai fatta!

E lì ho cominciato a piangere e non ho smesso per ore intere.

Cosa ho imparato dalla mia maratona? Quali lezioni ho portato a casa?

Quella notte poi sono stata molto male ancora.

Ghiaccio sul piede perché credevo di avere una microfrattura (invece poi si è scoperto che avevo una brutta tendinite) e la nausea non mi ha lasciato in pace per tutta la notte.
Sebbene io stessi male, l’energia e l’entusiasmo che mi ha dato questa esperienza non aveva limiti, non solo quella notte, quei giorni ma anche una volta tornata a casa.

Ho avuto una dimensione di onnipotenza per mesi interi: sentivo di poter far tutto (senza la presunzione di fare, con il giusto allenamento e conoscenze in qualsiasi ambito). Non mi spaventava più nulla. 

Le lezioni più grande che ho imparato 

  • quando vuoi raggiungere un obiettivo, un sogno, un traguardo fai tutto ciò che è in tuo possesso per prendertelo.
  • puoi fare tutto ciò ti prefiggi, basta volerlo. Nessuno dice che è facile, ma niente è impossibile.
  • non lasciare che le persone che ti sono accanto e che ti vogliaoo bene, demoliscano i tuoi sogni e ti dicano che non puoi farcela  Sei l’unica persona a cui devi dare ascolto e a cui credere.
  • proprio perchè devi darti ascolto: parlati in maniera amorevole, via i dialoghi negativi e pessimistici. 
  • gli ostacoli che incontri per strada sono situazioni che devi superare per avanzare e per imparare qualcosa, per crescere, per fare uno o mille passi in più
  • se fallisci, fallisci perchè tu l’hai deciso non perchè gli altri ti hanno convinto e il fallimento è sempre un’esperienza da cui imparare e rinascere. 

La maratona di New York è la mia ancora. Quel traguardo raggiunto mi viene in mente ogni volta che sono in difficoltà in qualcosa. Penso a quel momento e dico: se ce l’ho fatta a fare una maratona nelle condizioni in cui ero, posso davvero superare ogni ostacolo! 

Ogni traguardo è alla portata della mia mano, anzi, della mia vita.

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E tu hai un’esperienza forte che è la tua ancora? Qualcosa che hai fatto, un traguardo raggiunto dopo mille difficoltà, a cui ripensi ogni volta che non sai come fare o ti viene in mente di mollare?

Racconta, condividilo. Sarà bello emozionarsi anche con la tua storia.